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La DAD un anno dopo. Se non modifichiamo il nostro atteggiamento non cambia nulla!


È trascorso poco più di un anno dal primo lockdown in Italia e dagli effetti devastanti di questo subdolo virus che si è insinuato nelle nostre vite, nelle nostre abitudini e nelle nostre passioni.

Il Covid-19 ha limitato fortemente il nostro libero arbitrio e i nostri legittimi momenti di leggerezza in una vita fatta di corse, di responsabilità e di impegni, dove cerchiamo quotidianamente di “far quadrare il cerchio”.


Nella mente e nel cuore ho impresse molte immagini traumatiche di questo periodo che hanno avuto un forte impatto sull’equilibrio psicologico della maggior parte di noi.

  • La visione di telegiornali con i decreti che bloccavano il paese e ci imponevano di riorganizzare le nostre giornate, dove nella mia mente c’era la preoccupazione di non scontentare nessuno: famiglia, figli, pazienti e, in un angolino, anche me stessa.

  • La prima lezione in DAD dei miei figli e il cuore che si struggeva vedendo una modalità di relazione che fino a poco tempo prima avevo sempre osteggiato per loro. “Bambini, le relazioni faccia a faccia sono le migliori, la tastiera non vi aiuta a essere autentici e rispettare voi stessi e gli altri” era il messaggio che mi sono sempre ostinata a trasmettere. Da un giorno all’altro, ho dovuto ricalibrare tutto, nella vita e nel lavoro, riscoprendo anche opportunità che fino a prima non immaginavo, come il fatto di poter rimanere “in contatto”, creando comunque relazioni “calde”.

  • L’immagine dei camion militari e delle chiese colme di feretri: persone che hanno lasciato questa strana vita prematuramente senza la possibilità di essere connesse (non virtualmente), negli ultimi istanti di vita, agli affetti più cari. Persone sole, nel dolore e nel trapasso. Loro, come i loro affetti, che impotenti non hanno potuto che prendere atto di questa triste realtà, senza possibilità di avere utili elementi di elaborazione di questi terribili lutti.

  • La “Benedizione Urbi et Orbi” del Papa. In quel vuoto di Piazza San Pietro e in quel silenzio assordante, le lacrime scendevano incontrollate come la pioggia che batteva sul Cristo. Mi trovavo in una situazione certamente privilegiata, seduta sul divano nell’abbraccio di mio marito e dei miei figli, ma dentro di me sentivo solo il dolore. E il messaggio del Pontefice che mi risuona nella mente: “Nessuno si salva da solo”, che probabilmente non abbiamo ancora ben interiorizzato…


Siamo elementi che fanno parte di un sistema che per funzionare bene ha bisogno della responsabilità e dell’impegno di tutti noi. La scelta di un singolo ha effetti per tutti, sopratutto nella diffusione e nei conseguenti limiti dovuti alla trasmissione incontrollata di questo maledetto Virus.

Non ci si ammala certo solo per responsabilità individuale. A volte è anche questione di “sfortuna”. Ho conosciuto persone che, nonostante siano sempre state “attente” hanno contratto il Covid, probabilmente per la disattenzione di altri, nelle poche occasioni di vita mondana a cui hanno partecipato, come nelle occasioni di acquisto di beni di prima necessità.


Siamo arrivati nuovamente alla chiusura totale delle scuole. Una situazione certo non desiderata nemmeno da chi ci governa, ma siamo sempre pronti “a puntare il dito”, purtroppo. Essere al potere al giorno d’oggi non è semplice e vorrei vedere chi, tra i non addetti ai lavori della scena politica, indipendentemente dal colore del loro partito, se la sente di prendere decisioni che certamente scontentano i molti e accontentano pochi, come purtroppo sta accadendo nella gestione di una crisi mondiale dovuta a una pandemia.

Sono tutti bravi a pontificare dietro una tastiera e a guardare solo il proprio orticello (la scuola, il lavoro, la salute, la famiglia…). La vera sfida è la capacità di avere una visione di insieme: relazioni, scuola, lavoro e salute, sono sfere della vita indissolubilmente connesse. Se la sanità non fosse in ginocchio la scuola non sarebbe di certo chiusa!

Non possiamo ragionare a compartimenti stagni, non andiamo da nessuna parte e soprattutto alimentiamo quel clima di sfiducia e nenie di lamentele sterili che non servono a niente e a nessuno. Men che meno i nostri figli!


Il fatto straordinario di questo periodo è che in tempi record la scienza è riuscita a produrre un vaccino, con tutte le prove di efficacia e sperimentazioni del caso, il quale può essere l’unico barlume di speranza nel contenimento del Covid. Eppure, facciamo gli schizzinosi. Ci improvvisiamo scienziati, virologi, immunologi e alimentiamo polemiche basate su assenza di alcun fondamento logico-scientifico. Invece di fare un plauso a chi si è sbattuto per tutti noi, vediamo il male. Probabilmente vogliamo vedere il male.

Fatichiamo a vedere le opportunità dietro alle scelte che ci si pongono di fronte.

Non dimentichiamo, prima di lamentarci, che la responsabilità dei singoli ricade sulla responsabilità dell’intero sistema.


Siamo tutti consapevoli che l’istruzione è fondamentale, sviluppa la conoscenza e la capacità critica degli adulti di domani. L’impegno nell’affrontare la scuola è propedeutico all’impegno dell’affrontare la vita. Ma se a oggi, non è possibile affrontare la scuola in presenza, chiediamoci quanta responsabilità abbiamo in questa situazione e agiamo di conseguenza.


I bambini e i ragazzi hanno l’opportunità di vedere i loro compagni di classe e insegnanti, di imparare e di crescere, anche dietro a uno schermo. Hanno una possibilità! La possono sfruttare, tuttavia, solo se anche noi genitori li sosteniamo, riponendo fiducia, in quella che a oggi è l’unica scelta che abbiamo da offrirgli. È chiaro che per noi genitori implica una maggiore presenza e impegno. Non siamo insegnanti, è vero, ma sappiamo che siamo anche noi responsabili della loro crescita ed educazione ad affrontare la vita. Se ci vedono solo lamentarci, o sbuffare, o sclerare, ricordiamoci che è questo il modello che diamo loro. La resilienza si può apprendere e sviluppare.


Come facciamo a non lamentarci, sbuffare e/o sclerare?

Se prendiamo atto, accettando (non condividendo) questa situazione è già un significativo primo passo.

L’uscire da un atteggiamento di lamento e di opposizione ci permette di venire maggiormente in contatto con le nostre risorse e di trovare soluzioni più costruttive ed efficaci.

L’assenza di vittimismo permette di: modulare le nostre aspettative, rendendole più realistiche e funzionali; ripristinare la nostra responsabilità di comportamento e di scelta; e limitare ulteriori conseguenze avverse (a quelle che già siamo costretti a subire).


La lontananza dai nostri genitori, dai nonni è un altro tasto certamente dolente e conseguenza avversa del periodo. Ma se abbiamo la fortuna di avere dei genitori e dei nonni, non dimentichiamoci di chiamarli e di farci sentire vicini. Mia figlia di sei anni dice che è “un’ingiustizia” non poter abbracciare i suoi nonni e afferma di far fatica di stare in video-chiamata con loro, nonostante questo accetta consapevole che purtroppo al momento è l’unica nostra possibilità.


Prendiamo esempio da chi, in questo periodo non ha fatto solo i conti solo con il Covid e si è trovato costretto a subire altre drammatiche realtà (malattie, rovine economiche…). Non esiste solo il Covid-19.

Penso a una cara famiglia di amici, a cui avrei augurato solo il meglio e non i dolori e le fatiche che hanno dovuto affrontare e che ancora affronteranno…

Tutte queste persone non hanno tempo di lamentarsi, di dire che è ingiusto tutto questo. Ma camminano, passo dopo passo, verso una luce che volte faticano a vedere, ma che se ci impegnano tutti a osservare bene, magari ha cambiato colore, ma comunque in fondo in fondo esiste!


Auguro a tutti di essere più lungimiranti e, se non lo hanno già fatto, di trovare un atteggiamento più funzionale nel fronteggiamento di questa nostra comune difficoltà. Ricordiamoci: la mia scelta è anche scelta dell’altro.


I latini dicevano: “Dura vita, sed vita”!

O, per dirla all’inglese, “Shit happens, but shift happens too!”.

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